venerdì 7 novembre 2008

Sociologia della Body Art

Il termine body art fu introdotto nel 1969 per riferirsi alle performance di Vito Acconci e Jan Wilson a New York. I precedenti artistici e i movimenti culturali che sottendono l’espressione corporea estrema di questa peculiare forma di performin-art si ritrovano nel Teatro della Crudeltà di Artaud; in Duchamp (vd. Tonsura, 1919 e Rose Sélavy, 1921); nei corpi firmati e ne "La merde d’artiste" di Piero Manzoni e nelle Antropometrie o nel Tentativo di volo di Yves Klein. Scrive Artaud ne Il Teatro e il suo doppio “Senza un elemento di crudeltà alla base di ogni spettacolo, non esiste teatro. Nella fase di degenerazione in cui ci troviamo, solo attraverso la pelle si potrà far rientrare la metafisica negli spiriti” (Artaud, 2000: 214).
La body-art si fonda e confonde nel tripudio della sensorialità: vista, gusto, olfatto, tatto e udito diventano strumenti e fini della performance attraverso la quale l’artista aggredisce se stesso e il pubblico al fine di presentificare la propria esistenza. “L’uomo è ossessionato dalla necessità di agire in funzione dell’altro, ossessionato dalla necessità di mostrarsi per potere essere. Si vuole vivere l’ethos e il pathos collettivi, cogliere nella fisicità bruttale l’esistente, produrre fenomeni spudoratamente tali (il dramma è nel fatto che l’espressione fenomenica è condannata dalla sua stessa natura espressiva a convertirsi in simbolo), comunicare qualcosa di sentito prima ma di vissuto in quel momento, compiere un ritorno all’origine ma senza uscire dal presente, riportare l’uomo all’autorelazione e alla relazione con gli altri, cioè al suo modo di esistenza specifica […].” (Vergine, 2000: 8)
Marcel Duchamp, Tonsure, 1919 M. Duchamp, Rose Sélavy, 1921
Nella body-art l’accento è posto sulla natura, sulla priorità e l’emergenza dei fenomeni organici, sulla possibilità di esperire ogni funzione corporea e attraverso questa la realtà, perlustrandola anche in maniera sofferta e dolorosa, alla ricerca dell’autenticità dell’esperienza, ricerca che non si sostanzia nell’ascetismo o nel misticismo bensì si risolve nell’ “affrontare la morte attraverso la vita, frugando al di sotto, esibendo il segreto e il rovescio” (Vergine, ibid.: 9).
“Registratori, cineprese, macchine fotografiche, misuratori e tracciati topografici sono i mezzi cui si ricorre per fermare una quantità di piccoli episodi privati. L’artista diventa, dunque, il suo oggetto. Meglio, l’artista è tetico di sé ed è tetico dell’oggetto, pone cioè se stesso come oggetto, essendo cosciente di tale processo. […]. Le testimonianze di sé, della propria vita, l’intera sfera del “privato” vengono impiegate come materiale di repertorio. Tutto diventa recuperabile: una qualunque azione di un qualunque momento di una qualsiasi giornata; le proprie foto, le radiografie e le scopie; la propria voce; tutti i possibili rapporti con gli escrementi e con i genitali; ricostruzioni di fatti del proprio passato o messe in scena di sogni; l’inventario degli incidenti di famiglia; la ginnastica, la mimica e le acrobazie; le percosse e le ferite.” (Vergine, ibid.: 15)
“Con la Body Art l’artista diviene opera d’arte, investe il suo corpo di un rapporto oggettuale, si ridefiniscono le geografie corporali, una visibilità del corpo che l’arte attesta su immagini vive, carne e sangue, ferite e cicatrici, organi interni e cadaveri. E intorno a questa nuova rivolta della percezione, la necessità per l’arte di trasgredire i tabù sociali legati a modelli fisici istituiti, attorno ai quali l’identità è tradizionalmente concepita. L’azione è un atto performativo agito in tempo reale, a cui il pubblico non può sottostare, in cui viene costretto a provare imbarazzo, sorpresa, disgusto, eccitazione. Il corpo diviene linguaggio assoluto, medium attraverso il quale l’artista si trasforma, trasforma la propria immagine e la propria identità. Il corpo diviene materiale plasmabile” (Alfano Miglietti, 1997: 24-25).
Possiamo distinguere all’interno delle diverse correnti artistiche che ispirano la body-art svariati temi (sadomasochismo, travestitismo; inversione dei ruoli; maschera e smorfia) che tuttavia possono essere ricondotti alla concezione del corpo come limitazione e come possibilità. Nel primo caso sono identificabili i tentativi di ricorrere a tecnologie che possano ovviare all’obsolescenza del corpo (Stelarc), all’insegna di una nuova carne e di nuove forme del desiderio (Orlan), facendo ricorso a sovvertimenti e a forme di auto ed etero-aggressività, scomposizione della normalità delle immagini in cui l’uomo è convenzionalmente costretto a riconoscersi; sovvertimento dei ruoli e delle funzioni (sessuali, normativi, morali) come possibilità di intervenire nella propria vita: i processi artistici e mentali assumono traslazioni somatiche e sono esperiti come operazioni somatiche, i corpi diventano corpi ibridi, in metamorfosi, l’identità diventa compito individuale sottratto alla sessualità (si pensi alla dissoluzione dei confini tra maschile e femminile, alle forme di androginia, desessualizzazione e sessualizione inedite proposte da Lüthi, Sieverding, Castelli, Messager) e alla razza (i corpi di Mapplethorpe nelle commistioni di fotografia e pornografia sono per esempio sovversioni delle stereotipie razziste della classe media americana) in visione dell’autocreazione e l’automutazione, della frammentazione del corpo (i corpi a pezzi e i corpi morti fotografati da Andres Serrano).


K.Sieverding, Selezione di 148 fasi della stessa
situazione “senza titolo”, 1973 (particolare); U. Lüthi, This is about you, 1973 (part.)








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